11 Giugno 2014
Il tema della conciliazione tra lavoro e famiglia ha guadagnato una centralità strategica nel dibattito politico europeo e nazionale, nel quale finiscono per intersecarsi politiche del lavoro e di pari opportunità , accanto a preoccupazioni di equilibrio demografico e sostenibilità del welfare dei Paesi europei.
L’equilibrio del modello industriale di relazione tra i generi, fondato sulla specializzazione dei ruoli all’interno della famiglia (lavoro retribuito degli uomini e lavoro di cura familiare delle donne), si rompe con l’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro e l’allungamento della loro vita lavorativa anche oltre l’insorgere delle responsabilità familiari indotte dal matrimonio e dalla maternità , che segnavano in precedenza il momento di fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro.
La permanenza femminile nel mercato del lavoro, anche nelle fasi del corso di vita in cui sono presenti responsabilità familiari, fa emergere il problema della difficoltà di conciliare le esigenze e le responsabilità della vita familiare con i tempi e le modalità organizzative proprie del mondo della produzione. E fa emergere la centralità del fattore “tempo” nel processo di trasformazione del sistema famiglia-lavoro che passa attraverso la redistribuzione del la voro di cura familiare tra uomini e donne e che garantisce a entrambi i sessi il diritto ad una piena partecipazione alla vita familiare.
La risorsa tempo e la sua flessibilità , capaci di influire sulle modalità della presenza e permanenza femminile nel mercato del lavoro, sulle traiettorie professionali e sulle stesse scelte familiari, divengono allora cruciali per conseguire la piena inclusione delle risorse femminili ancora sottoutilizzate e la ricomposizione dei tempi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Questi, per sommi capi, i principi che fanno da sfondo alle politiche europee e nazionali di conciliazione e che trovano il loro cardine normativo nella Legge 8 marzo 2000, n.53, recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità , per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città “.
La legge, oltre a dare agli enti locali il compito di coordinare gli orari di accesso ai servizi territoriali pubblici e privati per la migliore armonizzazione dei tempi di lavoro, di vita e di relazione dei cittadini, pone una disciplina che prende atto del cambiamento della famiglia, dell’invecchiamento della popolazione, del crescere della popolazione non autosufficiente e del moltiplicarsi delle possibilità di attrito fra responsabilità familiari e tempo lavorativo lungo tutta la vita del lavoratore.
Da un lato, estende le misure di sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap e riconosce alle madri lavoratrici e ai padri lavoratori permessi, congedi (retribuiti e non) e indennità di varia natura tese ad incoraggiare la condivisione delle responsabilità familiari; dall’altro, promuove l’adozione da parte del datore di lavoro di particolari forme di flessibilità degli orari (flessibilità oraria in entrata e in uscita, turni, orari concentrati) e di organizzazione del lavoro (telelavoro) che permettono di conciliare l’interesse aziendale alla prestazione lavorativa e l’interesse del dipendente alla gestione della propria vita familiare.
Consapevole che i costi della riorganizzazione aziendale dell’orario di lavoro possono rappresentare un disincentivo specialmente per le piccole realtà produttive, il Legislatore affida ad un apposito capitolo del Fondo per le politiche della Famiglia (art. 19 del D.L. n. 223/2006, convertito in L. 248/2006) il compito di coprire in tutto o in parte gli oneri sostenuti dai datori di lavoro.
In particolare all’art. 9 comma 1, come riscritto dall’art. 38 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, la Legge 53 destina annualmente una quota del Fondo in favore di datori di lavoro privati, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere anche universitarie che intendano sperimentare azioni positive orientate alla conciliazione famiglia lavoro in attuazione di accordi contrattuali con le parti sociali.
Le azioni positive eleggibili al contributo constano di:
1) azioni rivolte a lavoratrici e lavoratori dipendenti, con figli minori o responsabilità di cura verso persone disabili, con infermità grave o non autosufficienti. A tali azioni sono destinati il 90% dei fondi disponibili e possono essere articolate nella specie di:
2) contributi in favore di titolari d’impresa, lavoratori autonomi e liberi professionisti che abbiano l’esigenza di farsi sostituire o coadiuvare nella propria attività per motivi legati alla maternità o alle responsabilità di cura verso figli minori o disabili (art. 9, comma 3). A tali contributi è devoluto il 10% delle risorse disponibili.
Le risorse destinate alle azioni verso lavoratrici e lavoratori dipendenti possono essere destinate ad attività di promozione delle misure di conciliazione, consulenza e monitoraggio in misura non superiore al 10%.