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Salute e sicurezza nei trasporti, un’emergenza da affrontare e risolvere una volta per tutte

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Documenti - Salute e sicurezza nei trasporti, un’emergenza da affrontare e risolvere una volta per tutte

21 Novembre 2023

Due autobus coinvolti in due gravi incidenti a distanza di pochi giorni fanno registrare
un bilancio drammatico: 21 persone hanno perso la vita e 33 sono rimaste ferite

Due gravi incidenti a distanza di pochi giorni

“La salute e la sicurezza nei trasporti sono un’emergenza da affrontare e risolvere una volta per tutte” potrebbe essere il titolo del disastro di Mestre che ha visto il 3 ottobre 2023, intorno alle ore 20, un autobus di trasporto pubblico volare giù da un cavalcavia alto una quindicina di metri causando una strage: 21 persone hanno perso la vita mentre i feriti sono stati 18, di cui 5 gravi. Il disastro si è verificato a Mestre ma sarebbe potuto accadere in qualsiasi altra città o in qualsiasi tratta stradale o autostradale italiana. Il 28 luglio 2013 un incidente simile si verificò lungo l’autostrada A16 nei pressi di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, quando a causa di un guasto all’impianto frenante e alla mancata resistenza del guardrail autostradale, un pullman e volato giù dal viadotto Acqualonga provocando 40 vittime e causando, quello che è stato definito, il più grave incidente stradale avvenuto in Italia.

Come se non bastasse, sempre a Mestre, undici giorni dopo, il 14 ottobre 2023, un altro autobus elettrico del trasporto urbano della stessa città, poco dopo le 21, è uscito dalla traiettoria che stava percorrendo ed è finito contro il pilastro di un palazzo sull’altro lato della carreggiata. Anche in questo caso il bilancio è stato grave: l’autista e 14 passeggeri sono rimasti contusi.

Il nostro primo pensiero va ovviamente alle vittime e ai loro familiari ed è difficile non provare sgomento nel vedere le immagini dei due eventi. Nel primo caso non è chiaro se il mezzo, a trazione elettrica, abbia avuto problemi alla batteria prima di cadere. Da quanto abbiamo letto dalla cronaca ci sono state fiamme e fumi provocati dalle batterie al litio che si sono spaccate, e quindi surriscaldate a causa della tremenda caduta. Il bus, uno Yutong E-12 della azienda cinese leader mondiale del settore, che ha pacchi batterie disposti sul tetto e inserite in una struttura a sandwich in grado di resistere, secondo i dati forniti dal costruttore, per due ore a combustioni di 1300 gradi centigradi, in coerenza con quanto previsto dallo standard ECE R100[1], evidentemente non ha retto all’impatto.

Dopo il secondo incidente ricordato sopra, il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha dichiarato che «da subito sarà sospeso l’utilizzo di tutti gli autobus elettrici della società “La Linea” attualmente in esercizio nelle linee TPL del servizio urbano del Comune di Venezia».

La prima domanda che tutti ci siamo posti a seguito del primo incidente è stata: quel bus, elettrico o no, sarebbe comunque precipitato se ci fossero state strutture di contenimento idonee invece di un guardrail, che sembrerebbe anche in pessimo stato, risalente agli anni Settanta?

Per rispondere a questo quesito si dovrà attendere la conclusione dell’inchiesta che stabilirà la dinamica e le cause dell’incidente e, conseguentemente, si definiranno le azioni da mettere in campo per impedire il verificarsi di simili tragedie in futuro.

L’elemento inconfutabile sul quale già ora abbiamo certezze è dato dalle condizioni delle strade italiane che, a causa di carenze di investimenti e manutenzione sistematica, spesso con le loro infrastrutture obsolete non sono in grado di prevenire lesioni gravi attraverso la mitigazione degli effetti degli incidenti con barriere adeguate a contenere il veicolo. Per barriere adeguate si intendono quelle che, in caso di impatto, sono in grado di assorbire una parte dell’energia generata dal veicolo, deformandosi in maniera controllata senza cedere o penetrare nella carrozzeria dello stesso veicolo infliggendo ferite letali ai suoi occupanti.

Un guardrail moderno deve rispettare la norma europea EN 1317 (dell’1/1/2011), che prevede specifici crash test ed elenca tutti i requisiti di prestazione dei sistemi di ritenuta, definendo le classi di prestazione per la suddetta certificazione CE. Si testano gli impatti con veicoli aventi varia massa ed energia cinetica, fino ad arrivare ad autoarticolati del peso di 30 tonnellate, le prove avvengono con urti a varie angolazioni e a velocità comprese tra 65 e 110 km/h. Per quanto attiene le auto i parametri tengono conto dell’assorbimento dell’urto e la mancata penetrazione nel veicolo, mentre per camion, pullman e autoarticolati, oltre che alla capacità di contenimento, è parametro essenziale la capacità di reindirizzamento del veicolo pesante.

A questi si aggiungono, per completezza, ulteriori parametri atti a garantire la conformità dei sistemi di ritenuta, come la quantità dell’accelerazione misurata (ASI) e quella della gravità delle lesioni riportate dal conducente, calcolate attraverso il THIV (Theoretical Head Impact Velocity), l’indicatore della velocità teorica di impatto della testa contro le superfici dell’abitacolo. Ne discende che esistono diverse tipologie di guardrail, tutte classificate secondo il livello di contenimento (Lc), ovvero “l’energia cinetica posseduta dal mezzo all’atto dell’impatto, calcolata con riferimento alla componente della velocità ortogonale alle barriere”.

Un esempio virtuoso di quanto si può fare per scongiurare incidenti mortali sulle strade è fornito dalla società  Anas che, per garantire una sempre maggiore sicurezza per gli occupanti dei veicoli che percorrono i 32.514,250 km di strade statali e di autostrade, svincoli e strade di servizio che gestisce, effettua, con grande professionalità, vari crash test su guardrail complessi e strutturati e, dopo aver ottenuto la mappatura di quelli da sostituire sta procedendo, progressivamente, con il loro adeguamento e/o eventuale sostituzione migliorando sempre di più quella che viene definita “sicurezza passiva”.[2]

Sarà pure un lavoro lungo e certosino, ma indispensabile per censire e sostituire le barriere vecchie che sono inadatte a contenere veicoli con masse come quella del bus precipitato dal cavalcavia. Non sarà un lavoro facile e comporterà ingenti esborsi economici, ma ogni euro speso in prevenzione è un investimento nella nostra comunità, senza contare poi i ritorni in termini di commesse e posti di lavoro se per acquisire i nuovi guard rail ci dovessimo affidare, come buon senso imporrebbe, alle acciaierie nazionali per completare questa imprescindibile opera di bonifica.

Ritornano le privatizzazioni?

“Il parlar chiaro è fatto per gli amici” e credo sia ben evidente l’assenza di pregiudizio da parte della nostra Organizzazione Sindacale verso l’attuale Governo così come è stato in passato nei confronti dei precedenti Governi e come sarà in futuro nei confronti dei prossimi. Ci auguriamo, quindi, che si apprezzi l’onesta intellettuale della nostra critica che si accompagna alla totale contrarietà ad ipotesi raccogliticce di privatizzazioni proposte “un tot al chilo”, quali quelle paventate per parti del Gruppo Ferrovie dello Stato. La riteniamo la perpetrazione di uno sbaglio enorme, che si rischia di ripetere dopo le poco commendevoli vicende di Telecom o di Autostrade. Secondo il Ministro del Tesoro «Il Governo Meloni ha un programma ambizioso sulle privatizzazioni, di grandi aggregati che richiedono procedure anche complicate con passaggi tecnico-procedurali per arrivare al risultato, ma anche di altre realtà con minori problemi» che «possono già traguardare i risultati nel 2024».

Prendiamo atto ma cosa spinge la politica in questa direzione? Senza scadere nelle semplificazioni da “bar dello sport”, è ben nota l’assenza di coperture economiche complete rispetto alla recente manovra finanziaria, che produrrà, per il 2024, un incremento ulteriore del deficit, fatto che andrà a pesare sul nostro debito complessivo già oggi caratterizzato da valori insostenibili. Da questo “stato di necessità” sul destino della Patria parte quindi l’idea, non nuova purtroppo, di vendere asset strategici per il Paese. Le privatizzazioni vanno bene solo se incardinate in un piano almeno decennale di politica industriale finalizzato a far crescere l’occupazione, la qualità del prodotto offerto e la ricchezza complessiva del Paese, altrimenti meglio arretrare e riconsiderare. A nostro avviso sarebbe più saggio leggere la “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che quantifica annualmente quanto sono evase le imposte e i contributi previdenziali in Italia e agire di conseguenza. Parliamo di circa 100 miliardi all’anno, cifre significative e praticamente strutturali sul cui recupero si fa sempre troppo poco, talvolta ancora meno, che sono la vera pietra al collo della nostra nazione. Ecco dunque tornare l’ipotesi “scorciatoia” di privatizzare per alleggerire i conti con una soluzione “una tantum”, quindi effimera, recuperando qualche miliardo nella cessione di aziende che producono utili (ovvero benefici per la collettività) perché quelle fallimentari è ben più complicato piazzarle a meno che, come quasi sempre è avvenuto, si privatizzano gli utili mentre i debiti se li accolla il pubblico.

Atteniamoci quindi alle privatizzazioni obbligate, certamente tra queste c’è la cessione del 41% di Ita Airways a Lufthansa, perché con le dimensioni attuali e senza un’alleanza forte la nostra compagnia aerea sarebbe destinata al declino, sempre che si riesca a superare l’imbarazzante impasse ormai in atto da mesi con la Commissione Ue. C’è poi la banca Monte dei Paschi perchè a fronte del salvataggio pubblico del 2017 il Ministero del Tesoro, socio al 64%, dopo avere versato, sembrerebbe, 8,5 miliardi per salvare la banca più antica del mondo, si impegnò con l’Ue a riprivatizzarla entro il 2022.

Poca la roba concreta, dunque, e se la fiammata inflattiva dovesse continuare queste sarebbero davvero gocce nel mare, inoltre i benefici contabili derivanti dalla capacità dell’inflazione di gonfiare in modo ipertrofico il Pil nominale verrebbero annullati a causa del combinato disposto dato dalla perdita del potere d’acquisto delle famiglie e dall’ aumento dei costi per le imprese. Le previsioni della Legge di Bilancio diventerebbero a quel punto insufficienti e sarebbe necessario ridurre ulteriormente il welfare ed aumentare la pressione fiscale sui “soliti noti” ovvero lavoratori dipendenti ed i pensionati.

Dobbiamo essere netti: ulteriori privatizzazioni di asset strategici per il nostro Paese NON SI POSSONO FARE.

Serve rigore nella spesa ed una tassazione progressiva su tutte le rendite, magari ristabilendo una maggiore equità fiscale chiudendo la stagione delle sanatorie e dei concordati preventivi.

Concludendo, è davvero pensabile di cedere quote significative di nostre aziende in uno scenario di mercato come quello attuale ed è ragionevole immaginare di fare dismissioni per un valore complessivo di 20 miliardi sia pure nell’arco di tre anni? Oppure sono “boatos” dal portoghese “boato”, diceria?

In ogni caso, lo ripetiamo, il nostro Paese non può privarsi di asset fondamentali per fare cassa. E comunque l’eventuale ritorno economico, che si quantifica in circa 20 miliardi di euro, sarebbe una goccia nel mare rispetto ai 2.859 miliardi di euro di debito pubblico stimato dalla Banca d’Italia nel mese di settembre 2023 e non contribuirebbe in maniera incisiva alla risoluzione degli attuali problemi di bilancio.


[1] Il regolamento ECE No. 100 regola l’omologazione di veicoli elettrici a quattro ruote di categoria M e N, l’omologazione è da eseguire sull’intero veicolo elettrico e si applica anche ai suoi sottosistemi e componenti prima dell’immissione sul mercato.

[2] I dispositivi ed i sistemi di sicurezza passiva hanno lo scopo di diminuire le conseguenze negative dell’incidente, una volta che questo si sia verificato.

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