3 Dicembre 2024
Per la Costituzione «Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico». Come avviene da diversi anni però la coperta è corta e le misure adottate non soddisfano tutte le esigenze del Paese
Il dibattito in atto
Un argomento di estrema attualità che impatta fortemente anche nelle dinamiche intersindacali è l’impianto dell’attuale legge di bilancio. É un tema importante, che però rischia di diluirsi in un confronto polarizzato per slogan perdendo di vista i fatti, perché se è vero che i numeri non fanno politica, la politica non può ignorare i numeri. L’Italia ha una spesa pubblica fra le più elevate dei paesi europei e un debito pubblico altrettanto elevato e, sebbene non sia possibile calcolare precisamente le entrate complessive sottratte alla finanze pubbliche dalle varie forme di evasione, sulla base del cosiddetto tax gap, la differenza tra quanto si stima sarebbe dovuto al fisco dai contribuenti e quanto realmente viene versato, secondo la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale contributiva anno 2023”, nel «triennio 2018-2020, per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni, il gap complessivo risulta di circa 96,3 miliardi di euro, di cui 84,4 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,9 miliardi di mancate entrate contributive». Una cifra significativa ma, sempre secondo la stessa Relazione, in diminuzione rispetto agli anni precedenti.
Infatti, nel mese di febbraio 2024, sono stati presentati dall’Agenzia delle entrate i dati della lotta all’evasione fino al 2023 ed è emerso che ammontano a 24,7 miliardi di euro le somme confluite nelle casse dello Stato nel 2023 grazie alla complessiva attività svolta da Agenzia delle Entrate e Agenzia delle entrate-Riscossione: 4,5 miliardi in più rispetto al 2022 (+22%). Nondimeno, per gli evasori fiscali sembra che si prospetti una vita più dura perché l’Agenzia delle entrate si appresta ad assumere un contingente di oltre 1.700 unità funzionari tributari che, verosimilmente, saranno impiegati prevalentemente in attività di controllo.
La legge di bilancio per il 2025
È importante ribadire che nella legge di bilancio 2025 molte misure rispondono, complessivamente, alle nostre richieste, motivo per il quale riteniamo non ci siano le condizioni per ricorrere allo sciopero generale, che è “un arma da ultima istanza”, assolutamente sproporzionato ed inopportuno se attivato in tal guisa e come Cisl faremo fatica ad omologarci su posizioni compulsivamente allarmistiche. Noi siamo abituati a discutere e a negoziare con le controparti siano esse istituzionali, datoriali o aziendali, sui contenuti e nel merito, non sul pregiudizio o l’ideologia.
Non abbiamo bisogno di instabilità dei governi. Il governo in carica è il sessantottesimo esecutivo della Repubblica Italiana. In 78 anni di repubblica abbiamo avuto una media di un governo all’anno mentre la Costituzione per una legislatura ne prevede cinque. Il nostro Paese ha bisogno di riforme e interventi che richiedono tempi medio-lunghi e per questo è necessario avere stabilità e consolidare e rafforzare la capacità di rappresentanza delle istanze del mondo del lavoro. Se non si va in questa direzione i problemi strutturali del Paese rimangono irrisolti e sul piano sindacale si rischia l’irrilevanza in termini negoziali.
Per provare a capire i rischi di una situazione di instabilità devo tornare al pensiero economico e sociale di Alexis de Tocqueville, noto per i suoi scritti sulla democrazia e la società, che si sviluppano principalmente attorno al concetto di uguaglianza e ai suoi effetti. Nella sua opera più celebre, La democrazia in America (1835-1840), Tocqueville analizza la nascita e l’espansione della democrazia negli Stati Uniti, considerandola un esempio di società democratica moderna e riflettendo su come l’uguaglianza delle condizioni possa influenzare il comportamento e le istituzioni.
Tocqueville vede la democrazia come un sistema che tende naturalmente a livellare le differenze sociali e a rafforzare l’uguaglianza. Tuttavia, è consapevole dei potenziali rischi sociali insiti in questa forma di uguaglianza. Tra i principali pericoli, Tocqueville individua la “tirannia della maggioranza”, ovvero il rischio che le opinioni e i valori della maggioranza prevalgano su quelli delle minoranze, mettendo a rischio la libertà individuale. Questo pericolo, secondo Tocqueville, può portare a un appiattimento sociale, dove la centralità dell’opinione comune riduce la varietà e l’indipendenza dei pensieri individuali. Per contrastare questa tendenza, egli enfatizza l’importanza delle istituzioni locali e delle associazioni civiche, che considera baluardi essenziali per garantire la libertà e promuovere il coinvolgimento attivo dei cittadini.
Sul piano economico, Tocqueville osserva come la democrazia favorisca lo sviluppo di una classe media che punta al miglioramento delle proprie condizioni materiali. Tuttavia, esprime preoccupazione per l’emergere di un materialismo e di una ricerca ossessiva del benessere economico. Vede nel capitalismo democratico sia un’opportunità per migliorare le condizioni di vita, sia un rischio di omologazione culturale e morale. Tocqueville teme infatti che l’enfasi sulla ricchezza e sull’uguaglianza economica può condurre a una società meno creativa e più incline al conformismo. Ma soprattutto, e veniamo così a noi, Tocqueville ha anticipato questioni come il rapporto tra individualismo e partecipazione sociale intravedendo il rischio intrinseco delle diseguaglianze, perché l’ingiustizia fiscale non è solo un fatto economico ma incide sul funzionamento complessivo delle società, ampliando le disuguaglianze ed indebolendo la coesione sociale. Oggi sembra che siamo davvero prossimi a questa condizione.
Come se ne viene fuori? Innanzitutto, con l’ottimizzazione della spesa pubblica ed evitando sprechi. Riducendo o riqualificando le spese non strettamente necessarie, orientandole verso progetti con elevato impatto economico e sociale. Ciò significa selezionare investimenti in infrastrutture, innovazione e transizione ecologica che possano avere un ritorno economico nel medio-lungo termine. È fondamentale utilizzare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in modo mirato, per recuperare il ritardo accumulato negli ultimi 40 anni e garantire risultati tangibili in settori chiave come sanità, istruzione, trasporti e digitale.
La Corte dei Conti ha infatti evidenziato che molti progetti necessitano di miglior gestione per assicurare che i fondi siano utilizzati efficacemente. Implementare una struttura fiscale più progressiva per garantire che i contribuenti con redditi più alti contribuiscano in modo proporzionato. Ridurre la pressione fiscale sul cosiddetto ceto medio, elevando la soglia del taglio del cuneo fiscale fino ai 60mila euro oppure abbassando significativamente le aliquote del secondo scaglione Irpef. Questo è uno dei provvedimenti che abbiamo richiesto come Cisl che, tra l’altro, potrebbe favorire i consumi e stimolare la crescita.
Ma, lo ribadisco, bisogna rafforzare i controlli attraverso la digitalizzazione, monitorando più efficacemente i flussi finanziari e le dichiarazioni fiscali. L’evasione fiscale rimane un grave problema per l’Italia, e interventi tecnologici mirati possono aiutare a migliorare la compliance, modificando il rapporto con i contribuenti basandolo sempre più sulla collaborazione e trasparenza ma rendendo anche certa l’esigibilità delle sanzioni in caso di violazioni altrimenti non se ne viene fuori.
Le prospettive finanziarie per l’Italia nel 2024 mostrano una situazione complessa caratterizzata da vari rischi economici e sociali. Tra le principali criticità emergono l’inflazione, calata ma non domata e il rallentamento della crescita economica. Dopo un’iniziale spinta post-pandemica sostenuta dal PNRR, il Paese ha visto un rallentamento, con un ritorno a livelli di crescita quasi stagnanti. Questa debolezza è in parte dovuta all’incertezza internazionale determinata dalle guerre in atto e all’inflazione che, seppur in calo rispetto ai picchi del 2022, rimane un ostacolo per i consumatori e le imprese.
Inoltre, l’attuale Legge di Bilancio include misure di sostegno temporanee, come sgravi fiscali che potrebbero però non essere prorogati nel 2025 in assenza di nuove coperture. Bankitalia ha evidenziato la mancanza di dettagli nelle riforme previste, il che rende difficile la pianificazione a lungo termine e aumenta i rischi per la sostenibilità finanziaria.
Gli effetti della legge di bilancio sul Tpl
Il trasporto pubblico locale è la cartina al tornasole delle dinamiche territoriali/campanilistiche della nostra ridente penisola, frammentazione portata all’estremo con enormi differenze territoriali rispetto alla capacità di spesa piuttosto che all’indebitamento, perché è di plastica ovvietà che un territorio già fortemente indebitato ben difficilmente sarà in grado di investire su servizi adeguati per i suoi cittadini e certamente nicchierà rispetto alle legittime richieste di incrementi salariali di chi quei servizi li fa funzionare con grande abnegazione e sacrificio. Il combinato disposto di quanto detto si aggiunge ai problemi nazionali che vedono il nostro Paese costretto, dopo anni di soldi spesi per provvedimenti discutibili (leggi Superbonus 110%, acquisto di banchi con le rotelle nelle scuole, ecc..), ad agire con ben maggiore sobrietà e criterio di spesa.
Per non farci mancare nulla siamo poi all’interno di una curvatura geostrategica da far tremare i polsi, dove dovremo ridefinirci come Europa per non cadere nella stagnazione e, conseguentemente, in una crisi economica con pochi precedenti.
Tutto ciò doverosamente premesso, rispetto alla situazione dei lavoratori TPL non esiste alternativa percorribile: l’incremento di 120 milioni per il Fondo che finanzia il Trasporto Pubblico Locale è insufficiente.
Bisogna rinnovare i contratti, aumentare significativamente i salari e migliorare la qualità del servizio offerto. Il Governo deve fare la sua parte prevedendo la quantità risorse che occorrono, senza dimenticare il tema della sicurezza del personale, vista anche l’intollerabile escalation del fenomeno delle aggressioni a danno dei lavoratori, che esige l’immediata operatività del “protocollo anti aggressioni” sottoscritto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal Ministero dell’Interno, dalla Conferenza Stato-Regioni, dall’Anci, dalle associazioni datoriali e dai sindacati di settore.
Più nel dettaglio, ricordiamo che per garantire almeno il recupero dell’inflazione pregressa e l’adeguamento all’inflazione programmata 2025 occorrerebbe incrementare la dotazione annua del Fondo Nazionale Trasporti per almeno 800 milioni di euro da destinare in via prioritaria alla rivalutazione dei corrispettivi. Inoltre, il passaggio dalle modalità di riparto previste in via transitoria per il biennio 2023-2025 alle modalità previste a regime dall’anno 2025 in poi, penalizza 12 Regioni su 15, con riduzioni di risorse quantificabili mediamente in circa il 4% rispetto alla quota assegnata nel 2024. Il Fondo nazionale dei trasporti è chiamato a finanziare il 65% dei costi mentre il restante 35% dovrebbe essere coperto da entrate tariffarie ma, in questo caso, il buco è significativo e la cosa peggiora nel tempo visto che venti anni fa il Fondo nazionale trasporti aveva una dote di circa 7 miliardi, mentre adesso ammonta a circa 5,3 miliardi, integrati da contributi di regionali e comunali con le già citate significative differenze territoriali.
Un TPL più efficiente e accessibile può favorire una riduzione dell’uso del mezzo privato, con impatti positivi sia sull’ambiente che sulla qualità della vita dei cittadini; dopo Sanità ed Istruzione è un elemento cardine del nostro vivere comune e certifica che Paese siamo e soprattutto cosa vogliamo diventare.
Perché ci sia questo colpo d’ala occorre un piano integrato che preveda subito investimenti mirati per rinnovare le infrastrutture e i mezzi, incentivi per la mobilità sostenibile e la digitalizzazione, un draconiano miglioramento della gestione e della sicurezza per aumentare la fiducia nel sistema di trasporto pubblico. Una maggiore pianificazione a livello nazionale e regionale attraverso il coinvolgimento di tutti gli “stakeholders” ovvero dei “portatori di interessi” della intera filiera, magari riuscendo nell’improbo compito di ridurre la parcellizzazione delle aziende del settore, ad oggi sono circa 900 con 110.000 occupati, circa 11 miliardi di fatturato e circa 50.000 mezzi, in buona parte obsoleti.
Il PNRR proprio per il recupero di parte di questo gap infrastrutturale prevede a livello nazionale, 3200 nuovi bus elettrici o a idrogeno da utilizzare nelle aree urbane e 2000 nuovi bus a metano per il trasporto urbano, cinquanta nuovi treni ad idrogeno e la riqualificazione di 55 stazioni ferroviarie nel meridione. Inoltre, sono previsti 700 km di rete ferroviaria regionale potenziata (quasi il 60% al Sud) ed è atteso riqualificare o potenziare circa 230 km per il trasporto rapido di massa nelle aree urbane.
A questo punto è necessario uno sforzo straordinario. Avanti al rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro della Mobilità Tpl affinché si migliorino le condizioni di lavoro e si adeguino i salari delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto insieme ad un riordino complessivo del sistema, per dare finalmente all’utenza un servizio degno di questo nome e magari risolvere la crisi delle vocazioni rendendo il settore appetibile per chi è in cerca di buona occupazione.