27 Ottobre 2011
Il settore del lavoro marittimo è tra quelli più esposti a pratiche di dumping sociale su diversi versanti: quelli normativi, contrattuali, retributivi e, in generale, riguardanti le condizioni della prestazione. E la bussola sindacale, in questo mare che è stato sempre tumultuoso e che lo è diventato ancor più in epoca di globalizzazione ed esplosione dei traffici, è spesso messa a dura prova tra forze magnetiche contrastanti. E dunque, tra le tutele consolidate in paesi e situazioni di più antica stabilità normativa e negoziale e situazione di deregolazione selvaggia e spesso senza scrupoli.
Il settore del cabotaggio
Il settore del cabotaggio, che ormai ricomprende anche il grande cabotaggio della navi da crociera, in questo contesto e per quanto riguarda il nostro Paese, è perciò oggetto di particolare cura da parte della Federazione dei Trasporti della Cisl. In tale settore infatti, per i marittimi italiani si riduce sempre più l’area dell’occupazione che impegna un residuo segmento professionale qualificato nell'”hotel rating” e cioè il personale che sovraintende alla qualità dell’ospitalità sulle navi da crociera. Mentre un’altra, buona aliquota di marittimi, ad esempio nel segmento del personale di camera, in cui sono impiegati molti lavoratori meridionali, viene fortemente falcidiato dalla disoccupazione. A livello comunitario infatti – dice Remo Di Fiore, il dirigente sindacale della FIT-CISL che segue il settore – anche nel cabotaggio è predominante la presenza di lavoratori extracomunitari a differenza di quanto avviene nel nostro paese, ove sino ad oggi una politica sindacale intelligente ha difeso al meglio l’occupazione nazionale.
Per mettere a fuoco le problematiche del comparto in questione, il 7 novembre prossimo si terrà a Bruxelles una riunione del Comitato-guida (steering committee nella terminologia internazionale della Sezione marittimi della Etf, la Federazione sindacale europea dei trasporti) di cui fa parte Remo Di Fiore. Ed è a lui che chiediamo di illustrarci una mappa dei lavori oltre che delle tematiche all’ordine del giorno nell’occasione.
In base al programma – dice Di Fiore – si discuteranno varie questioni legate al cabotaggio e per questo sono invitati rappresentanti di altri sindacati anche non componenti il Gruppo direttivo. Ma cominciamo col descrivere sommariamente le varie condizioni in cui si svolge l’attività cabotiera oggi.
Per il collegamento tra due diversi paesi la materia è regolata dal diritto internazionale che prevede si debbano applicare le regole di bandiera nel rispetto comunque delle convenzioni internazionali. Ciò significa, a titolo di esempio, che l’equipaggio di una nave di bandiera inglese che collega l’Italia con la Francia può essere, in base alle regole del paese di bandiera, extracomunitario con paghe minime indicate dall’agenzia dell’Onu per il lavoro, Ilo.
A maggior ragione tale principio vale per un collegamento tra porto comunitario e porto di un paese terzo come ad esempio una linea Genova-Tunisi o Bari-Durazzo che può essere svolta con una bandiera non comunitaria.
La “politica di Atene” e le corrette pratiche
Dal punto di vista sindacale, – continua Di Fiore – mentre il collegamento tra un paese comunitario e un paese fuori Unione non è stato preso in considerazione, per il collegamento regolare di un traghetto tra due paesi comunitari è stata prodotta dall’organismo della Federazione internazionale dei trasporti, Itf che promuove la diffusione delle buone pratiche nei rapporti sindacali (Fair practice committee), una norma che va sotto l’etichetta di “Politica di Atene” . Con essa – spiega Di Fiore – si stabilisce che le condizioni contrattuali dell’equipaggio debbano essere quelle di uno dei due paesi collegati e, quando diverse, le migliori. E’ però chiaro che si tratta di una norma sindacale e quindi non può essere imposta per legge ma solo attraverso l’impegno operativo degli ispettori Itf.
Vogliamo spiegare a un più vasto pubblico quali sono gli obiettivi di questa “politica di Atene”?
Due riflessioni da fare in proposito, risponde Di Fiore. La prima è che la politica di Atene ha lo scopo di eliminare il dumping sociale sul versante marittimo all’interno della Comunità . Un traghetto che collega per esempio Svezia ed Estonia in assenza di un ruolo sindacale avrebbe tutto, dalla bandiera, dall’equipaggio ai salari estoni (molto bassi) e quindi tutti i marittimi svedesi sarebbero espulsi dal mercato.La seconda riflessione è che in effetti è la Itf e cioè la federazione internazionale e non la Etf e cioè la nostra federazione europea dei trasporti, a gestire gli aspetti sindacali dei problemi anche all’interno della Comunità .
Ma – chiediamo – il traffico cabotiero all’interno di un paese comunitario svolto da nave con altra bandiera comunitaria come è regolato?
La materia – risponde il sindacalista della Fit – è regolata dalla Direttiva comunitaria 3577/92 a suo tempo approvata con un “blocco di minoranza”. E ci spieghiamo. Nel traffico lungo costa e per le navi da crociera vigono le regole di bandiera. Ciò significa che una nave di bandiera comunitaria può fare traffico per esempio tra Genova e Taranto ed applicare le norme del suo paese. Quindi se previsto, avere a bordo personale extracomunitario e paghe Ilo. Ma questo tipo di traffico è limitato e non incide di fatto sugli aspetti occupazionali. Quanto al traffico con le isole, sempre in base alla stessa Direttiva europea, esso è regolato diversamente in quanto all’art. 3 viene lasciato allo Stato “ospitante” di fissare le regole.
Il traffico tra le isole, in Italia, non è certo un segmento di business irrilevante. Di fatto come è regolato da noi?
Sotto la spinta diforte impegno sindacale – dice Di Fiore – il Ministero dei Trasporti ha stabilito alcune regole in 10 punti (obbligo equipaggio comunitario, salari italiani, lingua italiana etc.). In altre parole la nave inglese che collegasse Genova a Porto Torres non potrebbe più applicare le regole di bandiera ma i dieci punti di cui sopra e ciò ha permesso sino ad oggi di difendere la nostra occupazione visto che la maggioranza dei marittimi italiani sono impiegati sui traghetti che collegano le isole.
E per il cabotaggio nazionale con una tratta che parte da località internazionale o la segue come funziona il meccanismo?
Anche in questo – dice Di Fiore – caso le regole sono fissate dalla legge 3577/92, che prevede che quando un viaggio di cabotaggio nazionale è seguito o preceduto da un viaggio verso un altro paese, valgono le regole di bandiera. La solita nave di bandiera inglese che facesse Genova – Cagliari – Tunisi, potrebbe avere equipaggio extracomunitario e salari Ilo. In questa situazione, è chiaro – prosegue Di Fiore – che competere, per la nostra bandiera, è difficile. E se non avessimo le norme sul Registro Internazionale, le nostre navi ed i nostri marittimi sarebbero espulsi da un traffico sempre più in crescita.
Le prospettive della strategia sindacale
Quali prospettive di strategia sindacale, dunque, per competere con armi corrette?
Qualcuno ingenuamente – rileva Di Fiore – pensa di trovare la soluzione per la difesa dell’occupazione modificando la Direttiva 3577/92 per imporre in ogni situazione l’obbligo a marittimi comunitari a condizioni dei contratti collettivi.
Un punto, questo, che, come prevedibile, è stato discusso a lungo in sede Etf, giungendo alla conclusione che mettere in discussione l’art. 3 a suo tempo approvato non senza difficoltà , significherebbe oggi vederlo modificato in peggio visto che la maggioranza degli Stati sono in favore di una liberalizzazione totale del cabotaggio. Oggi, infatti, le votazioni in queste materie non si fanno più col “blocco di minoranza” di cui abbiamo detto prima ma sono a maggioranza semplice senza più l’obbligo del consenso totale. E tale aspetto è grandemente pericoloso. Lo spiegheremo a Bruxelles ai colleghi del Sindacato degli Ufficiali di Marsiglia che hanno posto di nuovo all’attenzione di tutti la questione.
Di Fiore, tu pocanzi facevi positivo riferimento al ruolo di tutela del Registro Internazionale. Vuoi chiarire brevemente in cosa consiste questa istituzione?
Il Registro Internazionale – risponde il sindacalista – è un particolare status giuridico di bandiera che permette da un lato maggiore flessibilità nella composizione degli equipaggi e dall’altro una serie di interventi dello Stato per tagliare i costi e favorire quindi l’occupazione nazionale. Il meccanismo (legge 30/98) nato da una storica intesa tra armatori e sindacato, ha riportato in bandiera nazionale 800 navi prima all’estero con personale straniero. Tra l’altro è bene ricordare che la composizione degli equipaggi per nazionalità è frutto caso per caso di intese a livello nazionale tra armatori e sindacato. Senza ulteriormente scendere nei particolari – continua Di Fiore – il Registro Internazionale, nato per le navi transoceaniche e cioè a raggio mondiale, (come si dice nello slang internazionale, “world wide”), è stato trasferito anche ai traghetti che effettuano percorsi superiori alle 100 miglia tra andata e ritorno. Sindacalmente, non viene permesso l’imbarco di extracomunitari quando il traghetto opera solo tra porti nazionali, mentre siamo flessibili nel caso di collegamento con i porti extracomunitario o cabotaggio nazionale con toccata in altro porto non italiano.
Il dibattito nell’Etf
E’ chiaro che a fronte di una materia cosi complessa e delicata, pur nell’ottica di difendere l’occupazione – polemizza Di Fiore – occorrono molte cautele specie a fronte del pressapochismo e dei proclami di alcuni sindacati francesi, il cui unico scopo sembra quello di coinvolgere altre Organizzazioni nello scontro contro la definitiva privatizzazione dei loro traghetti che collegano la Corsica. In base poi alla politica del sindacato internazionale dei trasporti, Itf, in materia di bandiera nazionale, diventa difficile – sottolinea Di Fiore – imporre alla nostra bandiera condizioni non condivise dal sindacato nazionale.
Un bel nodo aggrovigliato da sciogliere. Ma cerchiamo di intravedere un attimo lo scenario che azioni drastiche produrrebbero. Come si colloca l’atteggiamento della Fit per i vari segmenti del cabotaggio?
Per il collegamento Italia – Nord Africa – risponde e conclude Di Fiore – su queste linee i nostri traghetti competono con navi di bandiera per esempio tunisina o marocchina con “costi equipaggio ” bassissimi. Se non venisse data ai nostri armatori giusta flessibilità per competere (Registro Internazionale ed equipaggi misti) le nostre navi sarebbero espulse dal mercato e totalmente persa la nostra occupazione. Del resto sarebbe illegale dal punto di vista del diritto internazionale che il nostro paese imponesse a quelle navi obblighi diversi da quelle di bandiera. Per il cabotaggio nazionale con una tratta internazionale che segue e precede – specifica ancora Di Fiore – anche in questo caso se non usassimo flessibilità , i nostri armatori esercirebbero con una bandiera comunitaria che permetta l’imbarco di personale extracomunitario. E anche in questo caso perderemmo tutta l’occupazione. Certo si potrebbe spingere la nostra Amministrazione pubblica ad imporre per la sola tratta nazionale italiana i famosi 10 punti ma ciò avrebbe come reazione la messa in discussione da parte degli armatori dell’art. 3 della Direttiva 3577/92.
Per tutti i motivi elencati, e non solo, ma anche per la complessità della materia poco conosciuta da molti, la riunione allargata a Bruxelles è importante e deve essere partecipata con attenzione se dobbiamo tutelare l’occupazione dei nostri marittimi.