7 Luglio 2014
Del lavoro ripartito (cd. job sharing)
Il mercato del lavoro italiano e, più in generale, quello europeo, è stato oggetto negli ultimi anni, di un’importante evoluzione e le novità più rilevanti riguardano senza dubbio l’incremento della flessibilità nei rapporti di lavoro. Tale evoluzione trova riscontro soprattutto nell’emanazione di provvedimenti diretti a dare ingresso nel nostro ordinamento a nuove forme contrattuali caratterizzate appunto da una maggiore flessibilità nell’espletamento dell’attività lavorativa.
Tra queste, si annovera la tipologia contrattuale del c.d. “job sharing”, introdotta per la prima volta nell’ordinamento statunitense negli anni Sessanta e oggi utilizzata in diversi paesi. Negli USA, questo tipo di contratto viene definito come una forma di impiego part-time, nel quale l’insieme di diritti e di doveri di due o più lavoratori sono combinati in modo da ricoprire una singola posizione di lavoro a tempo pieno.
La disciplina
Nel nostro ordinamento, la disciplina del lavoro ripartito è contenuta nel D.Lgs. 276/2003 (artt. 41, 42, 43, 44 e 45), ma è sostanzialmente demandata alla contrattazione collettiva ai sensi dello stesso decreto che dispone che, solo in mancanza di contratti collettivi, e salve le specifiche disposizioni contenute nello stesso provvedimento, si applica la normativa generale sul lavoro subordinato in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito (art. 43, commi 1 e 2, D.Lgs. 276/2003). La normativa in esame definisce il contratto di lavoro ripartito come uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa (art. 41, comma 1, D.Lgs. 276/2003).
Pertanto, il contratto di lavoro ripartito, o c.d. job sharing, è uno speciale contratto di lavoro subordinato caratterizzato dal fatto che la controparte del datore è rappresentata da due lavoratori che sono vincolati in solido per l’adempimento di un’identica obbligazione lavorativa.
Il contratto di lavoro deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e contenere i seguenti elementi: la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale a carico di ciascun lavoratore; il luogo di lavoro; il trattamento economico e normativo di ciascun lavoratore; e le eventuali misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività dedotta nel contratto (art. 42, comma 1, D.Lgs. 276/2003).
Ai fini della possibilità di certificare le assenze, i lavoratori sono tenuti ad informare preventivamente il datore di lavoro, con cadenza almeno settimanale, in merito all’orario di lavoro di ciascuno dei lavoratori (art. 42, comma 2, D.Lgs. 276/2003).
Tratti caratteristici della fattispecie in esame sono:
1. l’elasticità della prestazione: gli stessi lavoratori possono determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la sostituzione tra di loro ovvero la modificazione consensuale della distribuzione dell’orario di lavoro (art. 42, comma 1, D.Lgs. 276/2003);
2. il vincolo di solidarietà tra i due lavoratori: che comporta che ogni lavoratore sia personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa nei confronti del datore e questi possa esigere l’esatto adempimento della prestazione da parte di ciascun lavoratore (art. 41, comma 2, D.Lgs. 276/2003). Eventuali sostituzioni da parte di terzi, nel caso di impossibilità di uno o entrambi i lavoratori coobbligati, sono vietate e possono essere ammesse solo previo consenso del datore di lavoro (art. 41, comma 4, D.Lgs. 276/2003).
Trattamento economico e normativo
Fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legge, entrambi i lavoratori non possono ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati deve essere riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita (in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e congedi parentali: art. 44, commi 1 e 2, D.Lgs. 276/2003 e Circolare INPS 41/2006).
Salvo diverso accordo tra le parti, le dimissioni o il licenziamento di uno dei lavoratori coobligati comportano l’estinzione del rapporto di lavoro anche nei confronti dell’altro, a meno che su richiesta del datore di lavoro, questi si renda disponibile ad adempiere interamente o parzialmente l’obbligazione lavorativa. In tal caso, il contratto di lavoro ripartito si trasforma in un normale contratto di lavoro subordinato (art. 41, comma 5, D.Lgs. 276/2003). Inoltre, sempre salvo diverso accordo tra le parti, l’impedimento di entrambi i lavoratori coobligati comporta la risoluzione del contratto se l’impossibilità di eseguire la prestazione è definitiva o se, pur essendo temporanea, il datore di lavoro non ha più interesse alla prestazione stessa come prescritto dall’art. 1256 del codice civile (art. 41, comma 6, D.Lgs. 276/2003).
I lavoratori contitolari del contratto di lavoro ripartito sono assimilati ai lavoratori a tempo parziale solo ai fini delle prestazioni previdenziali e assistenziali e della relativa contribuzione. Il calcolo delle prestazioni e dei contributi non può essere effettuato preventivamente ma deve essere fatto mese per mese, salvo conguaglio a fine anno a seguito dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa (art. 45, D.Lgs. 276/2003).
Precisazioni
La figura contrattuale del lavoro ripartito si basa sulla condivisione del medesimo posto di lavoro da parte di due lavoratori i quali sono liberi di organizzare tra loro l’attività lavorativa, suddividendosi l’orario di lavoro, con il vincolo di sostituirsi a vicenda in caso di impedimento di uno dei due. Il lavoro ripartito presenta indubbi elementi di affinità con il rapporto di lavoro a tempo parziale, in particolare perché in entrambe le tipologie contrattuali i lavoratori effettuano la prestazione per un orario ridotto rispetto al tempo pieno. Ciò nonostante, nel lavoro ripartito, che non costituisce una forma di part-time, ciascun lavoratore è responsabile di fronte al datore per tutte le ore lavorative dovute e la riduzione dell’orario di lavoro per ciascun lavoratore attiene esclusivamente al rapporto interno tra i due, mentre nel part-time il singolo lavoratore è responsabile esclusivamente dell’adempimento della propria obbligazione lavorativa.
Lo stesso Ministero ha precisato che il contratto di lavoro ripartito deve essere chiaramente distinto dal contratto di lavoro a tempo parziale (Circolare Min. Lav. n. 43/1998).
Dal lavoro ripartito si distingue poi un’altra fattispecie contrattuale denominata job splitting, caratterizzata dalla suddivisione di un unico posto di lavoro a tempo pieno in due posti di lavoro a tempo parziale. In questo caso, esistono due rapporti di lavoro che si muovono indipendentemente l’uno dall’altro, mentre nel job sharing, l’obbligazione lavorativa è una sola e può essere adempiuta alternativamente dall’uno o dall’altro lavoratore coobligato, secondo orari e turni da essi concordati.
Legislazione nazionale
D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge 14 febbraio 2003, n. 30 → Il Decreto attua la Legge Biagi, attraverso un disegno di riforma che agisce sia sul sistema degli intermediari del lavoro sia sul sistema dei contratti, con l’obiettivo di: rendere più flessibile il mercato del lavoro, migliorarne l’efficienza, sostenere le politiche attive per il lavoro e favorire la diminuzione del tasso di disoccupazione.
Circolari e note
Lettera Circolare Ministero del Lavoro, 7 aprile 1998, n. 43/1998 → Fornisce chiarimenti in materia di contratti di lavoro a tempo parziale e lavoro ripartito.
Circolare INPS n. 41/2006 → Fornisce chiarimenti in materia di lavoro ripartito.