18 Settembre 2014
Finalità e disciplina
Sin dagli anni ’50, la legislazione nazionale tutelava il rapporto tra madre e bambino nella delicata fase dell’allattamento, garantendo alle donne lavoratrici la possibilità di usufruire di due riposi giornalieri purché allattassero direttamente i propri bambini. Con il passare del tempo e l’evoluzione culturale, il diritto ai riposi giornalieri ha assunto la funzione di soddisfare i bisogni più ampi del bambino, non strettamente biologici, ma anche affettivi e relazionali, essendo riconosciuto anche in mancanza di allattamento diretto.
Il quadro normativo attuale prevede che il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, nel corso del primo anno di vita del bambino, 2 periodi di riposo della durata di 1 ora ciascuno durante la giornata lavorativa. Le 2 ore di riposo sono cumulabili e sono considerate lavorative a tutti gli effetti. Nel caso in cui l’orario lavorativo sia inferiore alle 6 ore la madre lavoratrice ha diritto ad 1 ora di riposo anziché 2 (art. 39 T.U.).
I riposi possono essere liberamente combinati dalla lavoratrice:
1. cumulati all’inizio della giornata lavorativa iniziando la prestazione 2 ore dopo l’orario previsto;
2. cumulati alla fine della giornata lavorativa terminando 2 ore in anticipo la giornata lavorativa;
3. utilizzando 1 ora all’inizio e 1 ora alla fine della giornata lavorativa;
4. utilizzando le 2 ore unite o separate nell’arco della giornata lavorativa.
L’INPS precisa che la madre può usufruire dei riposi giornalieri anche contemporaneamente al congedo parentale del padre (Circ. INPS 8/2003).
Durante i riposi giornalieri la madre ha diritto ad uscire dall’azienda e nel caso in cui fruisca dell’asilo nido o altri servizi per l’infanzia istituiti dal datore di lavoro presso l’unità produttiva o nelle immediate vicinanze, i riposi sono ridotti a mezz’ora ciascuno (art. 39, comma 3 T.U.).
Nella distribuzione dei riposi durante l’orario di lavoro, la flessibilità ammessa dalla legge deve essere coniugata con le esigenze del servizio. I riposi devono essere fissati tassativamente in base ad un accordo col datore di lavoro volto a contemperare le esigenze del regime biologico del bambino e quelle della produzione. In caso di mancato accordo, la distribuzione dei riposi e determinata dal Servizio Ispezione del Lavoro della Direzione Provinciale competente per territorio (art. 10, D.P.R. 1026/1976).
Con riferimento al calcolo delle ore di riposo spettanti alla madre, in passato si poneva in dubbio che queste potessero essere pienamente fruite nei casi di eventi particolari che riducessero l’orario ordinario di lavoro, per esempio in caso di sciopero. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che i riposi giornalieri, una volta fissati e concordati tra lavoratrice e datore di lavoro, non possono essere spostati o soppressi a seguito di occasionali riduzioni dell’orario di lavoro (Circ. INPS 48/1989). Pertanto, lo sciopero effettuato dalla madre in ore diverse da quelle stabilite per i riposi, non limita quantitativamente il diritto della lavoratrice. Il diritto al riposo invece viene meno quando le ore di riposo coincidano con quelle di sciopero.
La legge prevede inoltre che in caso di parto plurimo le ore di riposo siano raddoppiate (per una sola volta e non per ogni gemello) e in questo caso il padre può fruire delle ore aggiuntive (art. 41 T.U.).
Riposi giornalieri del padre
In relazione alla fruizione paterna dei riposi giornalieri, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale (C.Cost. 1/1987) che riconosceva al padre il diritto ai riposi nei casi di impossibilità della madre per decesso o infermità , il legislatore è intervenuto riconoscendo al padre un diritto più ampio. In particolare, si prevede che il diritto ai riposi giornalieri sia fruibile dal padre in alternativa alla madre (art. 40 T.U.):
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre.
In relazione al diritto del padre quando la madre non sia lavoratrice dipendente, l’orientamento attuale (che segue il nuovo orientamento espresso dal Consiglio di Stato con decisione n. 4293/2008) lo riconosce anche quando la madre sia casalinga (Circ. INPS 112/2009 e 118/2009).