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Primo Maggio: Celebrazione Internazionale del Lavoro e delle Conquiste Sociali

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Documenti - Primo Maggio: Celebrazione Internazionale del Lavoro e delle Conquiste Sociali

11 Luglio 2024

Una ricorrenza che onora le lotte e i traguardi raggiunti dalle lavoratrici e dai lavoratori di tutto il mondo; la globalizzazione e il ruolo dell’Europa nello scacchiere mondiale; gli effetti economici per l’Italia

Il Primo Maggio 2024, al pari di tanti altri “Primo maggio”, in Italia, e non solo, si è celebrata la Giornata Internazionale delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Una ricorrenza che onora le lotte e i traguardi raggiunti dalle lavoratrici e dai lavoratori di tutto il mondo ma anche una giornata dedicata alla riflessione: sul valore del lavoro; sulla sua dignità; sui diritti conquistati e consolidati; sulle sfide che si dovranno affrontare per prevenire infortuni, malattie professionali e aggressioni, che per la loro elevatissima frequenza costituiscono un’emergenza da affrontare e risolvere definitivamente per rendere più sicuri i luoghi di lavoro; sui possibili impatti negativi derivanti dal veloce ingresso nei processi del lavoro della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale e sui conseguenti rimedi; su come indirizzare e orientare chi è in cerca di un lavoro verso le nuove e vecchie professioni atteso che, nell’ambito del settore di trasporti, in molte aziende non si riescono a coprire i turni per carenza di personale con competenze specifiche.  

Il settore dei trasporti dell’ambiente e dei servizi, non ci stancheremo mai di dirlo, è fondamentale per la nostra economia. Le lavoratrici e i lavoratori di questo settore, con dedizione e impegno, si prodigano affinché, i passeggeri possano viaggiare in sicurezza, le merci arrivino a destinazione e la mobilità continui a essere un diritto accessibile a tutti.

Il Primo Maggio però, non ci si può limitare a celebrare o a protestare. Bisogna anche guardare avanti e riflettere su come possiamo migliorare le condizioni di lavoro in questo settore vitale per il nostro Paese. È necessario garantire che ogni lavoratore dei trasporti abbia accesso a condizioni di lavoro sicure, giuste e dignitose. Ciò significa lavorare per ottenere salari equi, per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, per orari di lavoro che rispettino l’integrità fisica, il benessere psicologico, la vita personale e familiare, e per il diritto a una formazione continua che permetta di affrontare le sfide future.

L’automazione e le nuove tecnologie stanno rapidamente cambiando il mondo della mobilità. Questi cambiamenti portano con sé opportunità, ma anche incertezze. È essenziale che la transizione verso un futuro più tecnologico non lasci nessuno indietro. Dobbiamo assicurarci che ogni lavoratore venga messo nelle condizioni di avere le competenze necessarie per adattarsi e prosperare in questo nuovo contesto. Per queste ragioni, insieme alle altre organizzazioni sindacali, ci siamo impegnati nel progetto europeo “We-Transform” di cui più volte abbiamo parlato su questa rivista, che si occupa proprio di indagare gli effetti dell’automazione e della digitalizzazione sulla forza lavoro nel campo dei trasporti.

Dobbiamo continuare anche a promuovere l’uguaglianza di genere nel nostro settore. Ancora oggi le donne affrontano discriminazioni e ostacoli che ne limitano la piena partecipazione. È nostro dovere lavorare insieme per abbattere queste barriere e creare un ambiente di lavoro inclusivo, dove tutti possano sentirsi valorizzati e rispettati. Tutti questi risultati possono essere raggiunti attraverso un radicale cambiamento culturale di tutti gli attori presenti nel mondo del lavoro e adottando, come avviene in Germania, il modello partecipativo. Proprio su questo tema, il Segretario Generale della Cisl, Luigi Sbarra, nel suo discorso del Primo Maggio a Monfalcone ha detto: «Pensiamo che il tempo sia maturo per dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione e garantire ai lavoratori il diritto di partecipare alla vita e agli utili delle imprese. I passi del decreto coesione sono importanti, significativi, ma ancora insufficienti. Bisogna confermare il taglio al cuneo, sgravare le tredicesime, rafforzare l’intervento sulle marginalità lavorative e sociali».

L’auspicio è che anche le lavoratrici e i lavoratori italiani possano vivere presto l’esperienza della partecipazione perché gli effetti che ne scaturiranno saranno positivi per tutti, anche per le aziende che vedranno crescere qualità e produttività. Nel frattempo, siamo impegnati a rinnovare tutti i contratti collettivi di lavoro nazionali scaduti.

La globalizzazione

«Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto».  Riprendo questo passo di John Donne per provare ad affrontare un tema che sarà sempre più centrale e condizionerà il nostro futuro: la questione della perdita di centralità dell’Europa e dell’Occidente nel contesto globale che è il risultato di una combinazione di fattori economici, geopolitici, tecnologici e demografici che stanno ridisegnando il panorama globale.

È un processo che ha dunque origini complesse e multifattoriali ma che ha visto nell’aggressione della Russia all’Ucraina un possente catalizzatore per le mire di quegli Stati che si propongono alternativi, quando non apertamente ostili, allo statu quo ante che vedeva appunto la centralità dell’Occidente. Non comprendere quanto questa polarizzazione inciderà sulla qualità della nostra vita è comprensibile per il comune cittadino, ma è inaccettabile per la classe politica che invece ne dovrebbe fare il tema primo su cui dibattere per sviluppare strategie politiche e sociali, interne ed esterne al Paese, invece di occuparsi oltremodo di questioni di corto respiro.

È la globalizzazione che ha facilitato il trasferimento di tecnologia e capitali verso Paesi in via di sviluppo. Questi Paesi hanno potuto così modernizzare le loro economie e diventare competitivi a livello globale, riducendo la dipendenza dalle economie occidentali, mentre l’Europa e gli Stati Uniti hanno affrontato diverse crisi economiche e politiche negli ultimi anni, la crisi finanziaria del 2008, la Brexit, poi con il disagio sociale si è rafforzato il populismo e le divisioni interne tra i vari stati europei hanno indebolito la coesione e la capacità di influenzare gli affari globali.

All’ “Occidente collettivo” manca un progetto realmente attrattivo ed inclusivo. I mercati globali stanno diventando più diversificati con i paesi in via di sviluppo che non sono solo centri di produzione, ma anche grandi mercati di consumo e ciò, ovviamente, non fa che ridurre ulteriormente la centralità dei mercati occidentali.

Che le dinamiche geopolitiche siano cambiate è un dato di fatto. La crescente assertività della Cina e della Russia, insieme a una maggiore cooperazione geostrategica tra Paesi non occidentali, sta ridisegnando l’ordine internazionale. Organizzazioni come BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) stanno guadagnando importanza. Negli ultimi decenni, Paesi come la Cina e l’India hanno registrato una crescita economica impressionante, la Cina, in particolare, è diventata una superpotenza economica e sta potenziando le sue capacità militari. La modernizzazione delle forze armate cinesi viene vista come un tentativo di aumentare l’influenza geopolitica della Cina e di proteggere i suoi interessi strategici con maggiore aggressività, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale e lungo le rotte commerciali globali.

Lo sfilacciamento dei rapporti internazionali insiste in un momento estremamente delicato perché problemi globali come il cambiamento climatico, le migrazioni di massa e le pandemie richiedono una cooperazione internazionale che vada oltre il tradizionale predominio occidentale. Le risposte a queste sfide stanno diventando sempre più multilaterali e saranno irrisolvibili con un “occidente collettivo” ed un “sud globale” sempre più divisi e pronti a fronteggiarsi anche militarmente. Di tutta evidenza poi, l’esigenza di rivedere le strategie di filiera e la stessa “globalizzazione” che dal nostro angolo di osservazione ha portato più danni che benefici. Ripensare la globalizzazione in favore delle filiere corte è una delle strategie che alcune comunità, organizzazioni e governi stanno esplorando per affrontare alcune delle sfide associate al fenomeno. Le filiere corte si riferiscono a un modello di produzione e distribuzione in cui i beni e i servizi sono prodotti e consumati localmente o regionalmente, riducendo la dipendenza da lunghe catene di approvvigionamento globali. Quando si ha accesso a fornitori e produttori locali, è più facile adattarsi a eventi imprevisti come crisi economiche globali, interruzioni delle catene di approvvigionamento globali o crisi sanitarie. Inoltre, riducendo la necessità di lunghe spedizioni internazionali, le filiere corte possono contribuire a ridurre l’impatto ambientale legato al trasporto, ma è il WTO (World Trade Organization), per come è stato congeniato, a mostrare tutti i suoi limiti nell’attuale congiuntura.

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), forse più nota nella sigla inglese WTO, è un’organizzazione internazionale che si occupa delle regole del commercio tra le nazioni. Fondata il 1° gennaio 1995, l’OMC è il successore del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), un accordo creato nel 1948 per regolamentare il commercio internazionale. L’OMC conta, al 2023, 164 membri, che rappresentano oltre il 98% del commercio mondiale.

La cosiddetta “globalizzazione” è dunque un sottoprodotto del WTO che offre un forum per i negoziati commerciali tra i suoi membri. Questi negoziati possono riguardare la riduzione delle barriere commerciali, come i dazi doganali, e la stesura di nuove regole per il commercio internazionale. Una delle più importanti è il principio di “Non Discriminazione” che si basa su due regole principali: la clausola della nazione più favorita (Most-Favoured-Nation, MFN), che richiede che qualsiasi vantaggio commerciale concesso a un membro sia esteso a tutti gli altri membri, e il trattamento nazionale, che richiede che i beni stranieri e locali siano trattati allo stesso modo una volta entrati nel mercato.

Il meccanismo con il tempo purtroppo non si è solo inceppato ma è diventato disfunzionale, una volta che le regole destinate a promuovere il commercio e gli investimenti internazionali sono disattese, nulla accade. In tal modo si sviluppa una proliferazione di sussidi e sanzioni che rendono ancora più evidente la crisi dell’“ordine internazionale basato sulle regole”. Di recente l’Amministrazione americana, per proteggere lo sviluppo dell’industria nazionale, ha stabilito che applicherà pesanti dazi ad una lunga lista di tecnologie verdi cinesi: dal 25% al 100% sulle auto elettriche, dal 25% al 50% sui pannelli solari. Seppure in ritardo e con maggiore timidezza ed articolazioni interne (stante la contrarietà della Germania che tanto ha investito in Cina), la Commissione Ue comunicherà a Pechino nuovi dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina ed è lecito immaginare che questo darà l’avvio ad una serie di reazioni i cui effetti andranno a pesare sulle prospettive di sviluppo atteso.

Gli effetti economici sull’Italia

È di tutta evidenza che il nostro Paese farà molta più fatica di altri nello stare al passo con deficit del 7,2% del Pil – secondo le prime stime Istat – e un rapporto debito/PIL dell’Italia che nel 2023 si è attestato al 137,3%. Il deficit nel 2024 dovrebbe, secondo gli auspici del governo, scendere ad un comunque poco confortante 4,3%.

Tutto questo ci porterà a subire una procedura di infrazione da parte dell’Europa, che è automatica se uno degli Stati membri dell’Ue non rispetta uno dei due parametri del Patto di Stabilità che sono quelli di un debito/PIL entro il 3% ed un debito pubblico che supera il 60% del Pil e non diminuisce di 1/20 l’anno (nella media dei tre precedenti esercizi). In prima istanza, gli effetti di tale procedura di infrazione non saranno particolarmente urticanti in quanto saranno riservati al prossimo Governo perché è dal 2027 che si applicheranno a pieno le nuove regole del Patto di Stabilità e non è difficile prevedere l’evaporazione delle riforme promesse su pensioni e fisco, così come sarà scontato un pesante taglio alla spesa ed agli investimenti pubblici condannandoci ad un pesante ciclo recessivo e di austerità, che se non si incidesse convintamente sull’evasione e sull’elusione fiscale che ammonta a quasi 84 miliardi all’anno di danno erariale, potrebbe indurre a pratiche di svendita di beni dello Stato che nuocerebbero al Paese e che, come dimostrano le esperienze passate in cui l’Italia è stata campione di privatizzazioni, non potrebbero alcun beneficio strutturale all’economia e determinerebbero perdite di posti di lavoro.

Questa congiuntura, unita all’annoso tema della denatalità, secondo i dati diffusi dal CIV dell’INPS, rischia di portarci tra una decina d’anni alla “tempesta perfetta”, con il bilancio dell’istituto che passerebbe da un attivo di 23 miliardi nel 2023 ad un passivo di 45 miliardi nel 2032. Questo sarà inevitabile in assenza di correttivi quali una significativa crescita della massa salariale e reddituale (più occupati e stipendi più alti) e del conseguente incremento del gettito contributivo che dovrà accompagnarsi ad una fiscalità più equa, che riveda profondamente il sistema delle cedolari secche e flat tax.

Anche per queste ragioni il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, sempre nel corso del suo discorso di Monfalcone ha affermato: «La nuova legislatura europea dovrà avere un valore costituente per rivedere e migliorare i vincoli del Patto di Stabilità».

La formazione è la sola via di uscita

Ma è la scuola che deve essere profondamente rinnovata e a cui dovremmo destinare fondi importanti perché oggi è il “gap formazione-lavoro”, ovvero la discrepanza tra le competenze acquisite dai giovani attraverso il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro, una delle peggiori pietre al collo che ostacolano l’ordinato progresso della nostra comunità. Questo problema è rilevante e rischia di diventare disperante per diversi motivi.

Il primo è il “Disallineamento delle Competenze”, molti laureati italiani non possiedono le competenze pratiche richieste dalle aziende, il secondo è l’obsolescenza delle competenze che avviene in mancanza di una valida formazione continua. Ricordiamo che il tasso di laureati in Italia è relativamente basso rispetto alla media dei paesi avanzati. Secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), solo una parte intorno al 20% della popolazione italiana tra i 25 e i 34 anni ha una laurea, rispetto a una media OCSE di oltre il 40%. Una distanza siderale dalla Corea del Sud che ha una percentuale del 70% o del Canada, del Giappone che condividono un ottimo 60% ma anche da Regno Unito 50% e Francia che si attestano al 45%.

Questo pone l’Italia tra i paesi con il più basso tasso di laureati in Europa e nei paesi sviluppati. Tale fenomeno è particolarmente allarmante nei settori tecnologici e scientifici, dove la domanda di competenze specifiche è alta ma l’offerta di candidati qualificati è insufficiente; infatti, il sistema educativo italiano è spesso criticato proprio per essere troppo teorico e poco orientato alle competenze pratiche e all’innovazione. Ciò porta a un’inefficienza nell’adattarsi rapidamente alle esigenze del mercato del lavoro in evoluzione. Questo va a sedimentarsi su di una crescita della produttività in Europa che sta rallentando da tempo. Le analisi relative all’andamento negli ultimi venti anni ci dicono che l’incremento del Pil pro capite europeo in termini reali è risultato di un terzo inferiore a quello degli Stati Uniti, e circa il 70% di questo divario è da ascrivere alla minore produttività, soprattutto nel settore tecnologico, e tale divario potrebbe ampliarsi con la diffusione dell’intelligenza artificiale, dove il ritardo europeo rischia di diventare incolmabile atteso che a oggi il 70% dei modelli di IA viene sviluppato negli Stati Uniti.

Un occhio a ciò che ci circonda e uno oltre

Come Fit-Cisl stiamo contribuendo a accelerare la conclusione dei tavoli di rinnovo contrattuale aperti richiedendo a tutti un approccio strategico e collaborativo. In qualche settore mobiliteremo le lavoratrici e i lavoratori per sostenere le negoziazioni attraverso opportune iniziative di incentivazione al raggiungimento degli accordi.

Tuttavia, come ho anticipato con tanti spunti di riflessione, occorre guardare oltre la quotidianità perché avere un corretto quadro di riferimento ampio rispetto a quello che si muove intorno a noi è doveroso e fondamentale per fare le scelte giuste perché, appunto, «nessun uomo è un’isola».

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